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Chiarimenti sulla disciplina agevolativa in materia di conversione in crediti d’imposta delle attività per imposte anticipate relative a perdite fiscali ed eccedenze ACE
Sabato, 17 Luglio , 2021

L’Agenzia delle Entrate dedica la risoluzione n. 44/E del 28 giugno 2021 alla nuova disciplina agevolativa riguardante la trasformazione in crediti d’imposta delle ‘attività per imposte anticipate’ (DTA) - relative a perdite fiscali ed eccedenze ACE - a seguito della cessione di crediti pecuniari verso debitori inadempienti. Il decreto legge Sostegni-bis ha disposto che, qualora una società ceda a titolo oneroso, entro il 31 dicembre 2021, crediti pecuniari vantati nei confronti di debitori considerati inadempienti può trasformare in credito d’imposta le DTA - anche se non iscritte in bilancio - riferite ai seguenti componenti: (i)perdite fiscali non ancora computate in diminuzione del reddito imponibile ai sensi dell’articolo 74 del Tuir, alla data della cessione;
(ii)importo del rendimento nozionale eccedente il reddito complessivo netto di cui all’articolo 1, comma 4, del decreto legge 6 dicembre 2011 n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011 n. 214 (le c.d. eccedenze ACE), non ancora dedotto né fruito tramite credito d’imposta alla data della cessione.

Ai fini della trasformazione la norma la consente nei limiti del 20% del valore nominale dei crediti ceduti con un limite massimo di 2 miliardi di euro, per ciascuno degli anni 2020 e 2021, determinato tenendo conto di tutte le cessioni effettuate (rispettivamente, entro il 31 dicembre 2020 e il 31 dicembre 2021) dalle società tra loro legate da rapporti di controllo, ai sensi dell’articolo 2359 del Codice civile, e dalle società controllate, anche indirettamente, dallo stesso soggetto.
I crediti d’imposta derivanti dalla trasformazione, che avviene alla data di efficacia giuridica della cessione dei crediti, possono essere utilizzati, senza limiti di importo, in uno dei seguenti modi:

  • in compensazione ai sensi dell’art. 17 Dlgs 9 luglio 1997 n. 241;
  • mediante cessione, ai sensi dell’art. 43-bis o dall’art. 43-ter del Dpr 602/1973;
  • mediante richiesta di rimborso.
Inoltre, è previsto che i crediti d’imposta, da indicare nella dichiarazione dei redditi, non concorrono alla formazione del reddito d’impresa, né della base imponibile Irap.

Per avvalersi della facoltà di conversione è necessario esercitare l’opzione prevista dall’art. 11, comma 1, del Dl 3 maggio 2016 n. 59 per convertire le DTA e pagare il ‘canone DTA’. Tale canone, ove dovuto, va corrisposto annualmente a partire dal 2021 e fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2030. Il canone è pari all’1,5% dell’importo delle DTA convertibili in crediti di imposta eccedente rispetto alle imposte versate.

In merito alla norma in esame la circolare fornisce chiarimenti relativi agli aspetti sostanziali e procedurali della disciplina.
Con riferimento al profilo soggettivo della misura l’Agenzia ha precisato che tra i soggetti beneficiari dell’agevolazione trovano posto anche le società che operano nel settore industriale.
La facoltà di fruire dell’agevolazione è infatti riconosciuta a tutte le società che presentino perdite fiscali o eccedenze ACE non ancora computate a riduzione dell’imponibile. Le disposizioni in esame non si applicano, invece, a società per le quali sia stato accertato lo stato di dissesto o il rischio di dissesto ovvero lo stato di insolvenza e, parimenti, alle cessioni di crediti tra società tra loro legate da rapporti di controllo ed, ancora, a società controllate, anche indirettamente, dallo stesso soggetto.
L’Agenzia ha precisato che rientrano nell’ambito soggettivo di applicazione della misura, oltre alle società, anche tutti quei soggetti equiparati, ai fini fiscali, alle società di capitali.

Per quanto concerne il profilo oggettivo della misura, si chiarisce la nozione di ‘inadempimento’ dettata nel comma 5 dell’art. 44-bis, al fine di individuare i crediti la cui cessione assume rilevanza per la trasformazione delle DTA in crediti d’imposta.
Il citato comma 5 fornisce una specifica definizione di ‘debitore inadempiente’ stabilendo che ‘si ha inadempimento quando il mancato pagamento si protrae per oltre 90 giorni dalla data in cui era dovuto’. Ciò comporta che l’inadempimento debba intendersi riferito al singolo credito e, dunque, alla posizione del debitore limitatamente al singolo rapporto, così escludendo che un unico credito non adempiuto nei 90 giorni dalla sua scadenza renda tout court inadempiente il debitore in relazione alla generalità dei suoi rapporti nei confronti sia di quel medesimo creditore sia degli altri creditori.

L’Amministrazione finanziaria evidenzia che la definizione del comma 5 richiede l’esistenza, antecedentemente alla cessione, del fatto ‘storico’ dell’omesso pagamento del credito (per oltre 90 giorni dopo la scadenza), a prescindere dalle vicende successive (non estintive) che hanno interessato quel rapporto creditorio (come, ad esempio, la successiva modifica del termine di pagamento).

La circolare, poi, fa chiarezza riguardo alle modalità di determinazione della base di commisurazione del canone eventualmente dovuto per effetto dell’opzione e, in particolare, se considerare anche le imposte anticipate calcolate sulle svalutazioni dei crediti ex art. 106, comma 1, del Tuir, riprese a tassazione.
Al riguardo, il comma 3 dell’art. 44-bis prescrive che:

  • la trasformazione delle attività per imposte anticipate in crediti d’imposta è condizionata all’esercizio, da parte della società cedente, dell’opzione di cui all’art. 11, comma 1, del Dl n. 59/2016;
  • l’opzione, qualora non sia già stata esercitata, deve essere operata tramite la comunicazione di cui al punto 1 del Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 22 luglio 2016, entro la chiusura dell’esercizio in corso alla data in cui ha effetto la cessione dei crediti;
  • ai fini dell’applicazione del citato art. 11 del Dl n. 59/2016, nell’ammontare delle attività per imposte anticipate sono comprese anche le attività per imposte anticipate trasformate in crediti d’imposta ai sensi del medesimo art. 44-bis.
L’opzione comporta l’obbligo di pagamento di un canone annuo (qualora dovuto) per ciascun esercizio di applicazione, pari all’1,5% della differenza tra l’ammontare delle attività per imposte anticipate e le imposte versate, come risultante alla data di chiusura dell’esercizio precedente.

Con riferimento all’ammontare delle attività per imposte anticipate in canone va determinato, ogni anno, sommando algebricamente:

  1. la differenza, positiva o negativa, tra le ‘DTA qualificate’ iscritte in bilancio alla fine dell’esercizio per il quale si deve determinare il canone, e quelle iscritte alla fine dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2007;
  2. l’importo delle DTA qualificate nel frattempo trasformate in crediti d’imposta.

In merito alle modalità di esercizio dell’opzione e di determinazione del canone da versare, occorre fare riferimento alle previsioni contenute nel citato provvedimento attuativo delle disposizioni di cui all’art. 11 del Dl 59/2016 e ai chiarimenti forniti con la circolare n. 32/E/2016. Ciò comporta che, per attività per imposte anticipate che rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 11, definite ‘DTA qualificate’, si intendono le attività per imposte anticipate iscritte in bilancio relative, cioè:

  • a svalutazioni e perdite su crediti non ancora dedotte dal reddito imponibile ai sensi del comma 3 dell’art. 106 del Tuir;
  • alle rettifiche di valore nette per deterioramento dei crediti non ancora dedotte dalla base imponibile dell’Irap, ai sensi degli articoli 6 e 7 del Dlgs n. 446/1997;
  • al valore dell’avviamento e delle altre attività immateriali, i cui componenti negativi sono deducibili in più periodi d’imposta ai fini delle imposte sui redditi e dell’Irap.
Inoltre, in base al comma 3 dell’art. 44-bis, nell’ammontare delle attività per imposte anticipate vanno ricomprese anche le attività per imposte anticipate trasformate in crediti d’imposta ai sensi del medesimo art. 44-bis, calcolate sulle perdite fiscali pregresse e sulle eccedenze ACE.
Pertanto, ai fini della determinazione della base di commisurazione del canone l’Agenzia ritiene che le imposte anticipate calcolate sulle svalutazioni effettuate ai sensi dell’art. 106, comma 1, del Tuir, riprese a tassazione, non devono essere considerate ai fini del calcolo del canone dovuto, in quanto non rientranti tra quelle ‘qualificate’ ai sensi dell’art. 2, commi da 55 a 57, del decreto legge n. 225/2010, né ai sensi del medesimo art. 44-bis.

Ulteriore chiarimento riguarda l’eventualità che il contribuente provveda ad una trasmissione tardiva (oltre il 31 dicembre 2020) della comunicazione finalizzata all’esercizio dell’opzione, con le modalità di cui all’art. 11 del Dl 59/2016, in assenza di obbligo di versamento del canone.
Al riguardo le Entrate chiariscono che la disciplina agevolativa in commento rientra nell’ambito applicativo dell’istituto della ‘remissio in bonis’. Pertanto, in caso di mancato invio nei termini della predetta comunicazione, il contribuente può esercitare l’opzione prevista anche successivamente (purché entro il termine di presentazione della prima dichiarazione dei redditi utile) mediante l’inoltro della comunicazione, tramite Pec, alla Direzione regionale dell’Agenzia delle Entrate territorialmente competente, provvedendo anche a versare la sanzione in misura fissa pari a 250 euro.
Ciò, naturalmente, a condizione che il contribuente risulti in possesso dei ‘requisiti sostanziali’ richiesti dalle norme di riferimento, già alla data originaria di scadenza del termine previsto per il perfezionamento dell’opzione, ed abbia tenuto, successivamente alla cessione dei crediti, un comportamento coerente con la disciplina agevolativa.

Al riguardo, l’Agenzia precisa come, in base al tenore letterale della norma, il diritto a fruire del credito d’imposta maturi già a decorrere dalla data di efficacia giuridica della cessione dei crediti deteriorati, indipendentemente dalla data di esercizio dell’opzione stessa, o dall’eventuale versamento dovuto del relativo canone.
Tuttavia, occorre considerare che, per effetto di quanto previsto dal comma 3, il diritto alla fruizione del credito d’imposta nasce, in ogni caso, ‘condizionato’ all’esercizio dell’opzione che va effettuata ‘entro la chiusura dell’esercizio in corso alla data in cui ha effetto la cessione dei crediti’ . Si ritiene, pertanto, che la trasmissione della Pec entro il termine previsto rientri tra quegli adempimenti che, sebbene abbiano ‘natura formale’ sono comunque richiesti al fine di dare attuazione alla misura in esame. Ne deriva che, in assenza dell’esercizio dell’opzione la società decade dal diritto a fruire dell’agevolazione.

Con l’istituto della remissione in bonis è possibile evitare che mere dimenticanze relative a comunicazioni o ad adempimenti formali non eseguiti tempestivamente precludano al contribuente, in possesso dei requisiti sostanziali, la possibilità di fruire di benefici fiscali o di regimi opzionali.
La norma intende salvaguardare la scelta operata dal contribuente ‘in buona fede’ che presenta la comunicazione ovvero assolve l’adempimento richiesto tardivamente, ed è strutturata in modo tale da sanare quei soli comportamenti che non abbiano prodotto danni per l’erario, nemmeno in termini di pregiudizio all’attività di accertamento.
Inoltre la norma presuppone che il contribuente abbia tenuto un comportamento coerente con il regime opzionale prescelto ovvero con il beneficio fiscale di cui intende fruire ed abbia soltanto omesso l’adempimento formale normativamente richiesto, che viene posto in essere successivamente. L’ambito di applicazione dell’istituto della remissione in bonis, pertanto, è circoscritto alla fruizione di benefici di natura fiscale, subordinati all’obbligo di preventiva comunicazione o di altro adempimento di carattere formale, purché tali adempimenti formali siano previsti a pena di decadenza dal beneficio o dal regime opzionale.


(Vedi risoluzione n. 44 del 2021)

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